“Nelle Terapie Cognitivo-Comportamentale Standard è stata attribuita grande importanza al “contenuto dei pensieri”, considerandolo come il responsabile della presenza di un disturbo. In realtà, ad avere un impatto molto più decisivo è il “modo” in cui noi pensiamo agli eventi, a noi stessi, alla miriade di situazioni e alla realtà che ci circonda: è questo, infatti, che può condurci alla sofferenza emotiva, cosa che accade anche troppo di frequente”.
Faccio mie le parole di Adrian Wells, professore di Psicopatologia Clinica e Sperimentale all’Università di Manchester, con alle spalle 130 articoli scientifici e più di 20 anni di ricerca sul trattamento metacognitivo dei disturbi d’ansia e depressione, per condurvi a riflettere su questo aspetto: “chissà quante centinaia di pensieri hanno investito la nostra mente finora?!”. Alcuni di essi saranno stati piacevoli, altri meno. E tutti questi pensieri avranno avuto un impatto sul nostro funzionamento psicologico. Noteremo anche che tutti questi pensieri possiedono vita breve, non perdurano nella nostra mente ma scorrono via. I pensieri appaiono e scompaiono come un naturale processo di autoregolazione. Tuttavia i pensieri non sono sempre gentili o funzionali. Spesso la loro natura risulta ripetitiva, autoperpetuante, trascinandoci all’interno di una catena di pensieri che diventano preoccupazioni, che diventano RIMUGINIO. Insomma i nostri pensieri si affollano nella nostra mente senza che siano stati smaltiti. Il processo di smaltimento, di selezione e controllo dei pensieri lo dobbiamo alla METACOGNIZIONE ovvero quei processi cognitivi che garantiscono un salutare rapporto con i nostri pensieri e le nostre esperienze interne.
Credo che il testo clinico di Wells non debba mancare nella cassetta degli attrezzi di un buon terapeuta.
Consiglio la lettura!
Dott. Sandro Veltri
Psicologo